La leggenda di Gargara la “Ninfa” della Foresta Umbra

“Viveva nella foresta una giovane bellissima, figlia di un uomo e di una dea che tutti gli uomini e bestie rispettavano e temevano. Era bruna, con occhi nerissimi che lampeggiavano stranamente, con una chioma corvina che folleggiava al vento, con una pelle rosea che sembrava intessuta di petali, flessuosa, perfetta al cui confronto anche Venere, avrebbe perduto il suo primato. La chiamavano Gargara, la ninfa della foresta, ed uomini e bruti a lei si inchinavano felici di servirla pure di avere da lei un sorriso, una carezza lieve e fuggevole. Fra i bruti vi era un satiro il quale, al solo scorgerla da lontano, era assalito da un tremito di desiderio, molte volte convulso, incontinente. Solo di questo satiro la fanciulla aveva paura, e cercava di fuggirlo mentre il bruto sempre più insistentemente la cercava. Avvenne che in una notte d’estate, mentre Gargara dormiva distesa su un mucchio di foglie secche in una concetta di rocce, cullata dal murmure di una fonte vicina che giuliva cantava per la vallata profumata di muschio, il satiro, avvicinandosi all’acqua per dissetarsi, la vide e, in un desiderio pazzo, cercò di soddisfare le sue brame. La Foresta UMbra fu svegliata dagli urli della ragazza e fu un accorrere di essere umani e di fiere in difese di Gargara. Il satiro potette dirsi fortunato se riuscì a sfuggire alla loro ira ed a dileguarsi nelle ombre della notte e nell’intrigo dei tronchi. Ma giurò vendetta. Il padre Giove aveva un vecchio rancore con la madre di Gargara perchè, invaghitasi di un mortale, lo aveva preferito a lui nell’amore. Il satiro sapeva tutto questo ed al sommo Giove si rivolse per essere vendicato.
E tanto pregò e tanto supplicò e fu così insinuante nel ricordare al padrone dell’Olimpo lo smacco subito per essere stato posposto ad un misero mortale, che alla fine Giove cedette ed unì la propria vendetta a quella del satiro.

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Fu allora che il capo degli deii, nella sua onnipotenza, trasformò Gargara in un giovane e rigoglioso acero che dal quel momento divennè l’albero del satiro.
Che sui rami di esso si accovacciava, lo difendeva da chiunque volesse danneggiarlo, ne accarezzava le foglie e dalla sua fistula cercava lunghe nenie lacrimevoli. E l’albero viveva così da migliaia di anni, diventato enorme nel tronco e nella chioma, nella valletta profumata di muschio, laddove Gargara era stata sorpresa nel sonno. Nessuno ardiva toccarlo perchè si diceva che il solo tagliarne un ramoscello portava sfortuna. Ed era conosciuto come il Millacero,
considerato da tutti come il re della Foresta”.
D’Addetta G. (1955)
“La montagna del sole”